Welfare, diritti e diseguaglianze

Nel dibattito politico c’è chi sostiene che, con il tramonto delle socialdemocrazie europee, anche lo Stato sociale avrà vita breve. Noi viceversa, riteniamo che il contrasto alla crescita esponenziale delle diseguaglianze e l’affermazione di diritti umani, sociali e civili debbano essere una priorità nell’agenda della politica. E per questo riteniamo sia indispensabile individuare e definire progetti partecipati e condivisi volti a ‘rimuovere gli ostacoli che impediscono l’effettiva uguaglianza di opportunità e l’accesso a beni essenziali’.Questo richiamo alla nostra Costituzione ci rimanda a una gamma di temi interconnessi amplissima: politiche per l’istruzione, per la salute, per il contrasto alla povertà, per superare la violenza sulle donne, per i servizi e interventi sociali, per l’abitare, per l’avvio al lavoro, per l’accoglienza e l’inclusione degli stranieri.

Per cominciare proponiamo il tema delle famiglie e delle ‘badanti’. Una scelta per colmare un ‘vuoto’ a scala locale, regionale e nazionale. Da vent’anni nel nostro Paese, esiste e prospera un welfare privato e invisibile.Si è sviluppato dal Trentino Alto-Adige alla Sicilia in un clima di sostanzialedisattenzione da parte di istituzioni, forze sociali e politiche. Complessivamente, se si considerano tanto le operatrici che operano ‘in nero’ e le famiglie che a loro si rivolgono in mancanza di reali alternative, stime attendibili ci parlano di un welfare ‘fai da te’che coinvolge complessivamente oltre 10 milioni di persone.

Come conoscere questo mondo? I bisogni delle persone e delle famiglie e i bisogni di opera (‘badanti’ per anziani e portatori di handicap, baby-sitter, familiari che si accollano compiti di cura). Esistono ricerche e studi che consentono di ricostruire un quadro attendibile della situazione. E contemporaneamente c’è un ‘vuoto’ da colmare: chi ascolta queste persone, chi le considera, chi le riconosce come titolari di diritti oltre che di doveri, chi li rappresenta nelle sedi politiche e istituzionali e si impegna a costruire con loro soluzioni condivise e credibili. Non ci proponiamo certo di fare tutto da soli. Cercheremo contatti e rapporti con organizzazioni, associazioni, fondazioni e gruppi che operano su questa tematica. Non si tratta di scrivere un libro dei sogni, quanto di proporci interrogativi ineludibili. Quali sono gli investimenti necessari per rendere credibile la crescita del Paese? Fra questi possiamo/dobbiamo annoverare anche quelli destinati al lavoro di cura? O possiamo continuare a scaricare sulle famiglie oneri impropri, insostenibili, fidando che esse possano reggere all’infinito? O possiamo ignorare il lavoro di cura che opera in sommerso e in nero solo perché svolto da donne (50% italiane e 50% straniere) anche se esso raggiunge la ragguardevole cifra di 2 milioni di operatrici? Il lavoro di cura è un investimento pregiato, per l’attenzione che si deve prestare alle persone, allo sviluppo e alla conservazione delle loro capacità di essere e di fare.

Per concludere. Non ci interessano le invettive ma la ricerca di soluzioni. La politica per noi è studio, formazione, esperienze vissute insieme, azione e mobilitazione. Né la politica va intesa come impegno totalizzante: ognuno di noi può portare il proprio contributo secondo le sue scelte, i suoi interessi e/o priorità.